6 mar 2020

UNA NOTTE AL CINESE


Ieri.

- Domani allora.
- Chi c’è?
- Io sì.
- Per fare che?
- Coglione.
- Cosa?
- Domani.
- Che si deve fare domani?
- Uscire dalla quarantena.
- Ah. Ma voi davvero fate?
- No?
- No?
- Dai, coglioni.
- No?
- Se la fa sotto.
- Se la fa sotto?
- Tu che dici?
- Ma andate a cagare.
- Cazzoni.
- Allora che dobbiamo fa?
- Andare dal cinese.
- Andiamo dal cinese. Va bene.
- A domani.

Oggi.

È tutto buio. Il negozio è chiuso da tre giorni ormai. Il telegiornale continua a parlare di pandemia, mascherine, amuchina, come lavarsi le mani, come tossire, come starnutire, come salutare le persone, meglio non ritrovarsi a dover salutare qualcuno, meglio restare in casa, evitare i contatti fisici, non toccarsi la bocca, non toccarsi gli occhi, non toccarsi, no, quello no, i siti porno regalano l’abbonamento premium ai residenti delle zone in quarantena, c’è quel video che hai sempre voluto vedere, adesso gratis, tutto grazie al virus, consolati così. Il proprietario del negozio è chiuso in casa da tre giorni ormai, abita in un monolocale al piano superiore, non è il massimo della comodità, ma gli permette di andare avanti, da cinque anni a questa parte. È tardi, è a letto, sta per addormentarsi, guardando un video sul telefono, le voci a basso volume lo cullano. Uno schianto improvviso, salta su, spaventato, le lenzuola danzano in aria, fanno una piroetta e poi gli ricadono addosso. Qualcuno è entrato nel negozio, sente dei passi venire da giù. La prima cosa che fa è chiamare la polizia.
- C’è qualcuno nel mio negozio, penso sia un furto.
- Come fa a saperlo? È notte fonda.
- Ci abito praticamente sopra. Devono aver buttato giù la porta.
- Come fa a dirlo?
- Stavo dormendo e ho sentito il botto, no? Dannazione, abito al piano di sopra, sento qualcuno che cammina, devono essere più di uno, muovono roba, non ho molto, non so che diavolo stanno cercando.
- Ho capito. Lei è?
- Cosa?
- Il suo nome, i suoi dati.
- Oh, sì, scusi, Chen, Ciro Chen. L’indirizzo è Via della Prugna 42.
- Ciro Cenne?
- No, no, Cenne. Chen. C-H-E-N.
- Chen. Ciro Chen… È cinese?
- Di origine, sì.
- Capito. Signor Ciro, si calmi e attenda lì. Non faccia mosse avventate, arriverà una volante al più presto, in Via della Prugna 42, giusto?
- Sì, giusto. Grazie.
- Stia calmo, mi raccomando, io devo staccare. Arrivederci.
- Arrivederci.
Qualcuno è entrato nel suo negozio, che diavolo staranno cercando, non gli è rimasto praticamente niente, cartoleria, casalinghi, cianfrusaglie, snack, qualche vecchio libro e fumetto. La cassa è vuota. Gli hanno sfondato la porta per nulla, niente amuchina, niente mascherine, idioti, dovrà far riparare la porta per colpa loro. Intanto, però, è spaventato, ha preso una mazza di scopa e la tiene stretta. Arriverà una volante al più presto, come no.

Nel frattempo.

- Bene.
- Io prendo un Tuix, raga, ce li avrà i Tuix da qualche parte, ah eccoli qua. Chi ne vuole uno?
- A me.
- Tu non lo prendi?
- No, che schifo.
- Sacrilego. Non capisci niente davvero.
- Buonissimo, mamma mia.
- Non ci sono gli Snichers, però. Neanche le Emenems. Che merda, cazzo.
- I Tuix sono i migliori, secondo me.
- Ma che dici. Le Emenems sono una droga, roba forte, intendo, eh, no lo schifo che ci facciamo noi. Questi sono professionisti, ti rendono dipendente, ne prendi una, manco il tempo di assaggiarla e subito te ne butti in bocca altre tre, lo zucchero ti sballa, ne vuoi sempre di più, di più, di più.
- Vero. Ma chi la fa sta roba?
- Saranno tedeschi, sicuro. Crucchi di merda.
- No americani?
- No, gli americani sono meno subdoli.
- Cioè?
- Che se ti vogliono ammazzare lo fanno subito, diretto, sul colpo, con un’arma automatica, spesso, e stai sicuro che la passano anche liscia, appellandosi a qualche cazzo di emendamento.
- E che è un emendamento?
- Che ne so. Mia nonna guarda sempre sta serie di avvocati e ogni volta stanno a difendere qualche pazzo maniaco che ha ammazzato qualcuno e parlano sempre di appellarsi a sto cazzo di emendamento e poi vai a vedere e alla fine al pazzo maniaco gli va bene e la passa liscia.
- Ma che cazzo state dicendo, voi?
- Secondo te dove le fanno le Ememens?
- All’inferno. Coglioni, a mangiare ci pensiamo dopo. Andiamo su.

Infine.

Stanno bussando con violenza alla porta, gli dicono che è un cinese di merda, che ha portato il virus qua e che sono venuti a vendicarsi. Dei ragazzini, lo capisce dalla voce, appena maggiorenni al massimo. Sono andati lì per pestarlo?, per ammazzarlo?, un linciaggio nel cuore della notte?, è roba da film, non è reale, non si è chiuso davvero nel bagno, tremante e stretto a quella mazza di scopa, pregando nessun dio in particolare, perché non è mai stato davvero un credente, che quella volante arrivi davvero al più presto. Ma chi ci crede ormai.
Stanno dando calci alla porta.
- Andate via, stronzi! Non sono cinese! Sono napoletano, mi sono trasferito qui cinque anni fa!
- È napoletano!
Un altro calcio.
- C’hai gli occhi a mandorla!
- Sei giallo!
- Non dire cazzate!
Ancora.
Madonna, che deficienti, pensa.
- I miei genitori sono cinesi ma io sono nato a Napoli, ho sempre vissuto in Italia, sono andato in Cina due volte in vita mia.
- Sei andato in Cina! L’hai detto, bastardo, hai portato il virus!
- Otto anni fa! Sono passati otto anni dall’ultima volta che sono andato in Cina!
- Mangi topi, gatti e serpenti!
- Ma vaffanculo!
Ancora, stavolta più forte, sente una vite dei cardini finire a terra. Stringe ancora più forte.
- Dai che alla prossima va a terra.
- Guardate che sta arrivando la polizia! Andate via!
- Pure amico delle guardie!
- Oh, non ce l’hai l’Ememens giù, eh?
- L’Eme… No, sono finite, ma tanto sto chiuso. E andate via, cazzo!
È fatta. La porta è aperta.
- Raga, mettete le mascherine.
I tre si buttano dentro, ma non trovano nessuno. Il bagno fa angolo con l’entrata, li prende alle spalle, muove la mazza con tutta la forza, dettata dalla paura che ha in corpo, sopra le teste dei suoi assalitori che, aveva immaginato bene, erano solo dei ragazzini. Uno di loro cerca di prendere la mazza, una volta, due, tre, alla quarta ce la fa, cerca di togliergliela, ma è più forte e alla fine lo ricaccia indietro e gli rifila un bel colpo alla testa. Il ragazzo lancia un urlo di dolore, è il primo colpo che va davvero a segno, forte e preciso, gli altri erano riusciti in qualche modo a pararli e deviarli.
- Ohi ohi ohi ohi, basta basta basta!
Ferma un altro colpo che stava per partire.
- Basta amico, basta. Ci arrendiamo, stop.
- Ahi ahi ahi ahi ahi ahi ahi  cazzo cazzo cazzo che dolore…
- Non volevo…
- Porca troia, dannato cinese.
- Non sono cinese!
- Non è cinese, stai zitto. Porca troia, è una bella botta, c’è del sangue.
- Aspettate, vado a prendere del ghiaccio. E toglietevi quelle stupide mascherine, che non servono a niente.
- Mi sa che ha ragione.
- Porca troiaaahi ahi ahi ahi.
- Ve l’avevo detto che era un’idea del cazzo. Siete proprio stronzi.
- Dov’è il cinese? Dov’è andato? Ahiahiahi.
- È andato a prendere del ghiaccio da mettere sopra quella testa di cazzo che hai. E non è cinese, parla italiano meglio di mister brufolo, qua.
- Fottiti.
- Ohi ohi ohi ohi ohi
Torna su con del ghiaccio, acqua ossigenata e bende.
- Vieni qua, fa vedere. Non è niente di grave, dai.
- Aaaaaaaaaahii, cos’era quello?
- Acqua ossigenata, stai calmo. Ora metto la benda ed è fatto.
- Grazie.
- Grazie davvero, amico.
- Sì.
- Grazie amico un cazzo! Mi avete sfondato due porte, avrei dovuto aprirvi la testa a tutti e tre. Inoltre, conosco tua madre, e anche tua madre, e tuo padre.
- Cazzo, amico, scusa, scusa, scusa davvero.
- Io non ci volevo nemmeno venire, è colpa loro.
- Tu ci volevi venire ero io che vi avevo detto che era una stronzata.
- Non è vero.
- Sì.
- No.
- Oh, state zitti.
- Ahiahiahiahiahiahiahi.
- Fa ancora male?
- Ahi, sì. Sì, un po’. Ahiahiahi.
- Ah, mi dispiace. Anzi, no, no che non mi dispiace. Aaaaaah! Sapete che vi dico. Andatevene. Andatevene, che tra un po’ arriva anche la polizia. Siete solo tre ragazzini. Leggete cazzate su internet, vi fate strane idee e finite a fare cazzate del genere. Andatevene.
- Hai ragione. Hai completamente e assolutamente ragione, amico. Davvero. Internet è pieno di fake news e roba così. È peggio della droga, ti rincretinisce forte, l’ho letto da qualche parte. E poi a me il cinese è sempre piaciuto.
- Andatevene prima che cambi idea e, invece di una denuncia ad anonimi, faccia tutti e tre i vostri nomi.
- Sì. Andiamo raga.
- Dai, tirati su.
- Ahi, sì. Ohi. Beh. Allora noi andiamo. Ehm, ciao.
Se ne vanno. La polizia arriva dopo un altro quarto d’ora, arriverà una volante al più presto, come no. Dice loro che probabilmente i ladri hanno appurato non ci fosse niente da rubare e se ne sono andati così come sono entrati, domani andrà a fare una denuncia ad anonimi al commissariato, per lo scasso dovrebbe essere coperto dall’assicurazione.
È di nuovo a letto, finalmente, sono quasi le 4 del mattino, ha chiuso le porte come meglio poteva. Fa partire un video sul telefono, cerca di farsi cullare dalle voci, come al solito, ma qualcosa non v
a. Pensa a tre ragazzini, uno che domani si ritroverà un grosso bernoccolo sulla fronte, un altro, il più ragionevole dei tre e l’unico con un accenno di quella che poteva definirsi barba, l’ultimo, capelli lunghi e mani mosse in continuazione a torturare gli sfoghi dell’acne. Pensa che sono entrati nel suo negozio, spinti dalla paura, dall’ignoranza, dall’idiozia tipica della loro età. Avrebbero voluto fargli qualcosa. Ma cosa? E se non si fosse difeso? E se fossero stati più grandi o più in numero? Pensa all’assurdità della situazione. Pensa che questa volta è stato fortunato. Pensa che non vorrebbe avere paura.

25 feb 2020

L'ULTIMO CORRIERE AMAZON


Una storia dal terzo Paese per contagio da Covid-19.

Non aveva mai visto la città così vuota. Le uniche facce per strada portavano una mascherina. Guidava il suo furgone dal carico prezioso, l'ultimo della giornata. Si fermò all'indirizzo indicato, scese e prese il pesante pacco contenente 42 unità di Amuchina gel mani. La voce al citofono gli disse che poteva lasciare il tutto nell'ascensore, ma lui gli fece presente che aveva bisogno di una firma, quindi salì al sesto piano. Gli venne ad aprire la porta dell'appartamento un signore di mezza età, finta cordialità e paura negli occhi. La consegna, la firma, poi il corriere fece un colpo di tosse, un altro e un altro ancora, Mario Stenti, questo il nome del destinatario, rimase sconvolto, mentre l'altro ringraziava e salutava.

Prese le scale per scendere e tornò nel furgone, nessuno poteva vederlo, ma l'ultimo corriere Amazon in quel momento sorrideva di gusto.

25 ott 2019

IN FORMA

Nel bagno, davanti lo specchio, osserva il suo viso troppo tondo, troppo calvo, poco interessante, probabilmente sgradevole, pensa. Sciacqua la faccia, lava i denti, si allontana un po' dal lavabo, adesso osserva la sua prominente pancia allo specchio, cala abbondantemente oltre la vita, guarda un attimo in giù, da quanto tempo non vede più il suo pisello?, troppo, torna al suo riflesso, indurisci i muscoli e poi prendi tutto quello che sporge, quello è il grasso, fa come gli disse il suo allenatore quella sconsiderata volta che decise di iscriversi in palestra (durò due settimane), ma ovviamente non sono neanche minimamente percepibili i muscoli sotto tutto quel lardo, si mantiene quella massa tonda tra le mani, la alza e la fa cadere per un paio di volte, poi esce dal bagno. È nudo nel corridoio, in casa non c'è nessuno oltre il suo cane, Trillo, due anni, un bastardino di taglia media, l'unico essere a mostrargli un po' di affetto, e probabilmente solo per il fatto che senza di lui non avrebbe due pasti al giorno. Non c'è mai stato nessuno in casa oltre lui e Trillo. Va in camera da letto, è da più di un mese che non dà una sistemata, un denso  strato di polvere ricopre tutto, si fa fatica a respirare, aria viziata, ma lui non ci fa nemmeno caso, è la normalità. Prende dal cassetto un paio di mutande e se le infila pensando che potrebbero essere utilizzate anche come paracadute da qualche nano parà, l'idea gli fa sorgere un piccolo ghigno, pensa a un cielo azzurro, ad un aereo che lo sorvola, si apre il portellone, ed ecco tante piccole figure uscirne lanciandosi nel vuoto, e dopo un po' di caduta libera aprire i loro caratteristici salvataggi, alcuni recano la scritta "Uomo" sull'elastico, svolgono bene il proprio lavoro, i nanetti ondeggiano tutti verso un atterraggio sicuro, oh oh, tranne quello, poverino, mi dispiace, deve averne presa una un po' troppo consumata, all'apertura l'impatto col vento l'ha squarciata e uno dei più allegri della compagnia deve salutarci per sempre. Beh, così è la vita. Adesso indossa i calzini bianchi di cotone, poi è il momento dei pantaloncini e della maglietta grigia, infine le scarpe da ginnastica, comprate qualche giorno fa da IperSport, andiamo a fare una corsetta? ci mettiamo in forma? gli aveva detto sorridente il cassiere, al quale non aveva dato risposta, a parte un timido grazie e arrivederci dopo aver pagato. Ora si osserva allo specchio della camera da letto, quello che vede attraverso la polvere è una figura indecorosa, ma deve mettere una felpa per sudare di più o no? pensa di sì e allora ne indossa una col cappuccio, con delle scritte sul petto che andrebbero a formare una parola di senso compiuto una volta chiusa la lampo, ma in questo caso non si riesce a chiudere, probabilmente ci starebbe bene la parola ciccione, grassone, nullità, così era sicuro lo chiamassero i colleghi a lavoro o anche Diana, la ragazza dell'appartamento di fronte con la quale, ogni volta che la incrocia, è capace di spiccicare solo un veloce "ciao" prima di sparire a tutta velocità, anche quella volta che lei si fermò ad accarezzare Trillo e gli chiese il nome e l'età del cane, ciao, e a passo svelto verso la porta, e il cuore che gli batteva all'impazzata subito dopo essersela chiusa alle spalle. Diana non avrebbe mai saputo il nome di Trillo. È pronto, esce dalla stanza da letto, attraversa il corto corridoio e si ritrova nel salottino/sala da pranzo, lì vicino, nella sua cuccetta, dorme Trillo. Si china a salutare il suo solo amico, gli vuole bene, ed è ricambiato, non solo perché gli offre due pasti al giorno, ne è sicuro adesso, in questo preciso momento, e il pensiero gli fa scendere una lacrima, che riasciuga poco prima di uscire dalla porta. Scende le scale. Terzo piano. Devo bruciare i grassi bruciare i grassi bruciare i grassi. Secondo. Bruciare i grassi i grassi bruciare. Primo. Bruciare bruciare bruciare i grassi i grassi i grassi. Piano terra.

È da qualche settimana che lavora in quel palazzo come portinaio, oggi gli tocca il turno serale, dalle 18 alle 24, perché fino a mezzanotte non lo capisce proprio, gli hanno detto che può esserci qualche problema sul tardi, specialmente nel week-end, in quel quartiere? aveva risposto, ma che cazzo state dicendo?, fatto sta che gli è capitato di fare quel turno già diverse volte senza alcun intoppo, a parte l'estrema noia che lo assale nelle ultime due ore, e pensa che dopo si consolerà, così come ha già fatto spesso, con un bel giro da quella puttana africana, Jasira, una di quelle che vengono da quei paesi fottuti dalla guerra a cercare una vita migliore e poi si ritrovano fottute anche loro, e però se ci sa fare. Sono le 19.30, è seduto nella sua gabbietta, guarda un episodio di Prison Break, due palle, dopo la prima stagione diventa sempre la stessa storia, sta quasi sonnecchiando, quando sente un terremoto venire per le scale. Alza lo sguardo e vede quel tipo tutto grasso del, che piano era?, quarto o terzo?, ah, boh, non gli ha mai nemmeno rivolto la parola, eh, però guarda là, ha deciso di mettersi in forma il ciccione, buon per lui, quasi lo ammira per un momento, poi ritorna allo schermo del tablet.
- Hai una sigaretta? - La voce gli suona del tutto nuova, rialza gli occhi e vede fuori la gabbietta il grassone del terzo o quarto piano, gli chiede una sigaretta, gli chiede qualcosa, questa sì che è nuova.
- Certo, amico, tieni -, esce fuori e gli porge la sigaretta, lui la prende con l'unica mano libera, la destra, nell'altra ha una bottiglietta ripiena di un liquido dal colore indecifrabile, sarà roba energizzante, pensa, è attrezzato bene, ma, - Senti, ma una sigaretta prima della corsa non è poi una grande idea, no?
- È l'ultima. Sai, cambio vita. Smetto di fumare, brucio i grassi, mi metto in forma. 
- Wow, alla grande. In gamba, allora. - E ritorna nella gabbietta.
- Sì. Grazie e addio.
- Prego, prego, ciao. - Di nuovo con gli occhi sul tablet. E sarebbe rimasto così fino alla fine dell'episodio, se non fosse che dopo un po' che il ciccione è uscito, un grido di dolore come non ne ha mai sentiti prima lo fa trasalire, e guardando fuori si accorge che un enorme fiaccola è accesa davanti al portone del palazzo. Non riesce a credere ai propri occhi. Fa uno scatto fuori, l'odore di benzina lo assale e finalmente la sua mente riesce a mettere a fuoco ciò che sta succedendo. Non era una bevanda energizzante, porca troia. Davanti a lui l'inquilino del quarto o terzo piano è in fiamme e si dimena, sta dicendo qualcosa, sta urlando, BRUCIARE I GRASSI BRUCIARE I GRASSI STO BRUCIANDO I GRASSI, l'orrore lo assale, gli sembra di essere in uno di quei film di merda di paura, solo che quella è la realtà, un uomo gli sta bruciando davanti agli occhi. Si toglie la giacca di pelle e cerca di smorzare le fiamme, ma è tutto inutile, è già finito, quell'uomo è già morto, non grida più, adesso e a terra, non si muove, un altro paio di colpi di giacca e anche il fuoco va via. È sotto shock, davanti a quel corpo carbonizzato, altra gente è arrivata in strada, qualcuno sta già chiamando la polizia, e lui può solo pensare che non ha mai saputo, e non gliene è mai davvero importato, a quale piano abitasse quel mucchio di carne bruciata che ora gli sta davanti. Jasira, mi sa che non ci vedremo per le prossime sere. Oh dio, Jasira.

28 ago 2019

IL TOPO


Il topo anche quella sera venne attirato fuori dalla propria tana. Il profumo della cena preparata dalla grossa padrona di casa gli fece subito venire l’acquolina in bocca, poteva distinguere chiaramente l’odore del suo cibo preferito, formaggio. Uscì dal piccolo arco che dava nel salotto sulle sue zampe posteriori. Tutto quello che doveva fare era attraversare la stanza e arrivare nella sala da pranzo, l’unica cosa che poteva mettersi tra lui e quel pranzo prelibato era, come sempre da quando ne aveva memoria, il gatto. Era grande più del doppio di lui, ma così tanto veniva surclassato nella stazza fisica, tanto egli riusciva a prevalere sul felino per astuzia. Non era mai capitato che avesse avuto la peggio contro il suo acerrimo nemico. Ormai i loro duelli andavano avanti da anni e mai che quel gatto avesse assaggiato il sapore della vittoria, che in questo caso corrispondeva con quello della pellaccia del topo.
Era arrivato in sala da pranzo senza problemi, la tavola imbandita era a pochi passi, sopra di lui. Anche la grossa padrona di casa era lì. Era davvero grande, riusciva a vederle solo le gambe coperte da una lunga gonna, il suo viso era talmente in alto che non era mai riuscito ad osservarlo. Il topo si stava avvicinando pian piano al tavolo, sperava di farcela ad arrivare alla cena senza essere visto ma, come spesso accadeva, in quel momento la grossa padrona di casa si accorse di lui e, come sempre in quelle occasioni, iniziò a gridare in preda al panico mentre, scalciando a più non posso, prendeva posto in piedi sopra una sedia. Una volta scoperto, il topo pensò solo al raggiungere il cibo nel minor tempo possibile, anche perché da lì a pochissimo sapeva sarebbe arrivato il suo eterno inseguitore baffuto. Con rapidità salì prima su una sedia e poi sulla tavola, schivò un attacco della grossa padrona, che tentò di colpirlo con uno straccio, e si fiondò verso il piatto dove regnava la prelibata fetta di formaggio bucherellato. Non riuscì a trattenersi dal dare qualche morso subito, fu una perdita di tempo che poteva pagare caro perché ecco che dalla porta faceva la sua apparizione, correndo come un dannato, il gatto. Il topo prese la fetta di formaggio e se la diede a gambe levate e, come sempre, iniziò il caos. La grossa padrona di casa continuava a gridare e scalciare da sopra la sedia, mentre l’inseguimento tra i due animali si trasformava in un uragano che distruggeva qualsiasi cosa capitasse a tiro. Piatti, bicchieri, posate, pentole, padelle, coperchi, qualsiasi cosa poteva essere usata da uno per recare danno all'altro e ad avere la peggio era il gatto, che a poco a poco perdeva terreno. Il topo, accumulato un po’ di vantaggio, corse fuori dalla finestra e si ritrovò nel cortile esterno. Sperava ci fosse quel grosso cane che spesso aveva dato una lezione al gatto, ma non era così. Era strano, quel cane a volte c’era e a volte no, il topo non aveva mai capito perché. Il gatto nel frattempo gli era di nuovo alle calcagna, il topo fece il giro dell’edificio e lo attirò proprio dove voleva, dritto su di un rastrello rovesciato a terra, che pestato dal felino finì col colpirlo forte e dritto nel pieno del muso. Questo fece guadagnare nuovo tempo al topo che si precipitò dentro casa e prese la via per la sua tana. Era a pochi centimetri dall'entrata del suo rifugio, anche questa volta ce l’aveva fatta, stava pensando, quando ecco abbattersi su di lui la bianca zampa del gatto. La fetta di formaggio gli cadde di zampa, lontana, era in trappola, era stato preso, fine dei giochi. Il gatto adesso lo stringeva forte tra entrambe le zampe anteriori e la sua bocca, aperta in un ghigno malefico, si faceva sempre più vicina.
Ma aspetta, pensò il topo, aspetta, non può finire così. Non è mai andata a finire così.

Hai ragione, lo raggiunge una voce. Non può andare a finire così.
Il gatto e il topo ora sono immobili sulla scena e si chiedono a chi appartenga quella voce arrivata da tutt'intorno a loro. Il gatto ha allentato la presa e il topo si è liberato, ma nessuno dei due pensa più al formaggio o al mangiare l’altro. Cosa sta succedendo?
Non può andare a finire così, perché tu, topo, devi sempre vincere contro lui, il gatto. È così che è stato, è, e sempre sarà.
Ma che significa questo?, chiede il topo. Noi siamo solo due animali che cercano di guadagnarsi un po’ di cibo.
No, non siete affatto animali, siete cartoni animati, gli viene risposto.
E cos'è un cartone animato?
È quello che siete, un divertimento per le masse, una forma di intrattenimento. In onda sul terzo canale, ogni sera alle otto e mezzo della sera. Un gatto e un topo antropomorfi, che te lo dico subito, significa che avete più cose in comune con gli uomini che con gli animali a cui siete ispirati. Che stavo dicendo? Ah, sì, un gatto e un topo antropomorfi che ogni settimana si rincorrono e si prendono a padellate in testa per il divertimento del pubblico. E alla fine il topo la passa liscia.
Il gatto intanto si è addormentato, ve l’avevo detto che il topo lo superava di parecchio in intelligenza, e infatti è lì di fianco che se la fa sotto. Si guarda le zampe, e vede quel tratto nero che le delinea.
Sì, quello è inchiostro, dice la voce. Osservati bene, non sei affatto un topo. Sai, quelli della tua specie sono animali alquanto ripugnanti, oddio, almeno quelli che abitano le fogne delle città. Portano malattie, mangiano la spazzatura e generano ribrezzo nell'uomo. Tu invece sei così carino, con quelle tonde orecchie, gli occhioni, quel viso birichino. Sei adorabile, ma non sei un topo. I topi non corrono sulle zampe posteriori, non hanno una tana con salotto arredato, un letto dove dormire e, quando capita, un piccolo quotidiano da leggere. È tutto frutto dell’immaginazione dei tuoi creatori.
E chi sono questi creatori, chiede il topo, tu sei uno di loro?
Oh, sì, certo, io sono il tuo sceneggiatore, poi abbiamo i registi, gli animatori e tanta di quella gente che si dedica alle avventure tue e del tuo amico gatto che dorme lì.
E perché mi avete fatto questo?
Questo cosa?
Questo, dannazione, perché non sono un topo e basta? Io pensavo di esserlo, che tutto andasse in questo modo, che non ci fosse altro oltre la mia tana, il formaggio, questo rompiscatole di gatto, le gambe scalcianti della padrona, il cane… Il cane! Ecco perché a volte c’è e altre no, vero? Lo utilizzate quando vi pare e piace. Ecco cosa siamo. Anzi, cosa non siamo. Non siamo reali. Siamo solo fantasie. Non esistiamo.
E cosa c’è di male in questo? Nell'essere una fantasia? Preferiresti essere un vero topo e vivere nelle fogne? Cagare, mangiare, accoppiarsi e morire? Questo ti sembra meglio? E poi chi te lo dice che non sei reale? Il mondo è uno schifo, la fantasia, le storie, quello che rappresenti anche tu, è l’unica cosa che lo manda avanti e non lo fa sprofondare nel baratro.
Sarei importante quindi?
Ridere è importante.
Va bene, come dici tu allora, si tranquillizza il topo. Ma posso farti un’ultima domanda?
Dimmi pure.
Tu conosci il tuo creatore?
Ah, questa sì che è bella. Pensa, io sono solo delle parole su un foglio di computer. Sì, io conosco il mio creatore, è un povero idiota che scrive racconti sul suo blog.
Quindi siamo sulla stessa barca, no?
Beh, amico, sì, direi proprio di sì.
E questo scrittore, lui lo conosce il proprio creatore?
No, penso la sua situazione sia più complicata della nostra.
Ma almeno lui è reale?
E chi può dirlo.

9 ago 2019

LA STORIA DI AUGUSTA LA BUSTA DI PATATINE AL GUSTO DI PEPE ROSA E LIME


Era una busta di patatine al gusto di pepe rosa e lime, si chiamava Augusta e aveva solo tre giorni di vita.
Era nata piena a metà, chiese alle sue simili il perché di questa cosa, qualcuna diceva che era per non fare ingrassare troppo il consumatore, altre sostenevano che era solo un metodo per truffarlo, un'altra le consigliò di non pensarci e basta, erano anni che andava avanti quel dibattito e sarebbe stato così per sempre. Accettò il consiglio.
Arrivò la sera, era tempo di venire caricata sul camion che l'avrebbe portata al suo scaffale. Durante il viaggio non sapeva a cosa ambire, le sue compagne erano lì che fantasticavano di finire nella collezione di lusso di un miliardario, idiote, le ammonivano altre, finiremo qualcuna in un supermercato, qualcuna nei bar, qualche altra da quei tipi chiamati "bangla", ma nessuna collezione di miliardario, che idiozia. Beh, anche questo finì per importare poco alla nostra busta di patatine al gusto di pepe rosa e lime protagonista e, comunque sia, si ritrovò, il mattino dopo, in un bar di una piccola località balneare.
Quel giorno, il secondo della sua vita, fu il più bello e il più brutto. Arrivò un ragazzo al bar e comprò proprio lei, era stata scelta per una festa su un piccolo yacht. Arrivato il momento dell'apertura sentì le voci di ragazze e ragazzi che esclamavano cose come "Oh, sono le mie preferite", "Spettacolo", "Top", la piccola busta sapeva di essere al cospetto di un'intelligenza superiore, ma a primo impatto non ebbe questa impressione.
Arrivò il momento dell'apertura, furono molto gentili, aveva sentito parlare di buste che venivano squartate o fatte scoppiare, a lei aprirono solo la testa, così come andava fatto. Fu una liberazione, salutò le sue piccole patatine al gusto di pepe rosa e lime, che andarono a finire in un piattino, era quello il momento più felice della sua vita, tanto che sorvolò sul commento di uno dei presenti che si lamentava che ella fosse vuota per metà. Ma a quell'attimo di pura felicità seguì la più nera disperazione. Finita di essere svuotata, infatti, venne gettata in mare. Imprecò per diverso tempo verso tutti quegli idioti sulla barca, intelligenza superiore un paio di patate al gusto di pepe rosa e lime, erano la cosa peggiore capitata su quel pianeta.
Passò tutta la notte a galla in mezzo al mare, pensando a come sarebbe stato miserabile il resto della propria esistenza, sarebbe stata per sempre un pezzo di spazzatura inquinante tra le acque, non avrebbe mai conosciuto il famoso riciclo, una nuova vita in una nuova forma.
Ma il mattino successivo la fortuna le arrise, la corrente l'aveva spinta in prossimità della costa e venne pescata da un uomo che nuotava di lì. La speranza tornò a riempirla mentre veniva trasportata verso riva e ascoltava l'uomo imprecare verso i suoi simili, gli restituì un po' di speranza verso quella strana specie, non tutti erano dei deprecabili idioti. Intanto si faceva sempre più vicino l'arrivo del suo momento tra la spazzatura differenziata, in mezzo all'altra plastica. Tra le dita dell'uomo vedeva il cesto dei rifiuti farsi sempre più vicino, il suo trasporto si fermò un attimo sotto un ombrellone e la mostrò come trofeo a dei suoi simili.
- Guardate qua, che schifezza -, disse, Augusta ci restò un po’ male, ma effettivamente non poteva che concordare. - Ormai le mie speranze nell'umanità sono davvero al minimo storico.
Beh, ognuno aveva il proprio punto di vista, pensò Augusta, la ormai fu busta di patatine al gusto di pepe rosa e lime. Adesso era arrivato il momento, venne gettata nel vuoto e atterrò sopra i resti di una paletta spezzata. Salutò tutti, poi si lasciò andare all'oblio fantasticando su quale sarebbe stata la sua nuova forma riciclata.

25 lug 2019

ODIO L'ESTATE


Questa città puzza. Il suo sporco odore ti assale. Dalle strade arriva dentro al tuo appartamento, al tuo ufficio, al tuo corpo, e non ci puoi fare niente. Ti rende parte di sé. Non gli puoi scappare.
È l’estate. Il caldo. Il respiro che manca. Il sudore che cola.
Odio tutto questo.
Si è presentato al mattino presto, ha bussato alla porta e chiesto il permesso per entrare. L’ho fatto aspettare un po’, non sono abituato ai clienti, figuriamoci dopo pochi minuti dal mio arrivo, ho acceso il ventilatore e l’ho invitato dentro. Le scale l’avevano stancato. Sudato e col fiato corto ha chiuso la porta alle sue spalle, l’odore del dopobarba ha invaso la stanza, poi, tolto il cappello, si è seduto, sembrava un po’ teso. Anche io lo ero, ma non lo davo a vedere, sono bravo in questo. Avevo riconosciuto quella schifosa testa flaccida. Non sarebbe andata a finire bene.
- Mi dica tutto, signor…
- Maroni, piacere.
- Italiano?
- Americano.
- Beh, chi non lo è qui?
La battuta aveva allentato la tensione, ora era a suo agio, non più ritto sulla sedia, il doppio mento rendeva quel volto alquanto sgradevole da osservare, e purtroppo non potevo distogliere lo sguardo, si rischia di sembrare insicuro agli occhi del cliente.
- Signor Hammett, mi sento un po' sciocco a venire da lei per una questione del genere, ma sa, girano buone voci sul suo conto.
- Questa mi è nuova.
- Non faccia il modesto. Ho letto del suo contributo nella ricerca di quel ragazzino qualche mese fa.
- Quel cadavere di ragazzino -, che testa di cazzo, cercare di lusingarmi tirando fuori quella storia.
- Hanno arrestato la bestia che l’ha fatto, no? - Tra bestie ci si riconosce, ho pensato. - Lei ha aiutato la polizia.
- Sì, sì, un successo per tutti tranne che per la madre del piccolo.
- Beh, capisco. Ma, intendevo, non è questo il punto…
- No, infatti, la ringrazio per i complimenti, ma ora arriviamo al sodo, Maroni.
- Bene. Hammett, il problema è semplice. Un problema comune ad ogni uomo, direi. Una donna.
- Ogni uomo fortunato ad averne una.
- O sfortunato a non averne.
- Concordo. Ma le dirò la verità, anche noi spesso risultiamo problematici.
- Senza dubbio. Ma, lei capisce, no, che a noi alcune cose possono essere concesse, mentre se capitano dall’altra parte... No?
- Capisco, capisco -, e capivo fin troppo bene, conoscevo, seppur solo di fama, chi mi sedeva di fronte.
- Bene. L’importante è intendersi subito. Ora quindi sarò schietto, non sono venuto qui per chiederle di seguire quella stronza, di fare delle foto o qualche altra cazzata del genere. Sono già sicuro che mi tradisce, quella troia. Io so che lei non si limita a questo mestiere, signor Hammett.
La cosa mi aveva colpito, anche lui l’aveva notato. Quel verme doveva essersi davvero informato su di me.
- So che ogni tanto si sporca le mani. Di sangue.
Sono rimasto un attimo a fissarlo, la reazione di prima gli aveva fatto credere di avere in mano la situazione, ma son tornato subito alla mia compostezza. Calma, in questi casi bisogna sempre mostrarsi calmo.
- Per la giusta paga, sì. Ma, con tutto il rispetto, signor Kanter, non mi sembra possa permetterselo.
- Non mi dica cosa non posso fare! – Si è alzato con fare irruento, sbattendo i pugni sulla scrivania, io ero rimasto con i piedi poggiati su di essa. Calmo. Sempre. Ma quello scatto d’ira mi aveva impressionato. L’ubriacone forse aveva un po’ di spina dorsale, non era bravo solo a picchiare la moglie.
- Un po’ di contegno. Con questo caldo non fa bene agitarsi. – L’ho ammonito, lui è rimasto in piedi, visibilmente agitato, ha preso un fazzoletto dalla tasca per tamponare il sudore che gli bagnava la fronte.
- Ha ragione, mi scusi. È questo caldo. È la fottuta estate. Finirà per ammazzarci tutti. – Ha iniziato a guardarsi attorno nel mio piccolo studio, io stavo capendo, osservandolo, che probabilmente era ancora sbronzo dalla notte appena passata, era riuscito a nasconderlo, era stato bravo fino a quel momento, aiutato anche da quel nauseabondo dopobarba, che riusciva a coprire l’odore di tutto l’alcol che si era scolato.
- Perché non torna a sedersi, Maroni? Forse riusciamo a trovare un accordo.
- Un…un… È una radio questa? – Aveva adocchiato la radio poggiata sulla cassettiera, io quasi mi divertivo, sembrava gli fosse salita una seconda botta tremenda.
- Beh, direi di sì.
- Posso accenderla? A quest’ora c’è un programma tutto di canzoni italiane. Una meraviglia.
- Faccia pure -, dopo qualche tentativo ha trovato la stazione giusta, la musica non era affatto male. Intanto mi ero alzato, ho dato le spalle a Maroni per qualche secondo, guardavo fuori dalla finestra, attraverso le veneziane abbassate, mi ero acceso una sigaretta per ragionare su come togliermi d’impaccio da quella strana situazione. La risposta la trovai davanti ai miei occhi una volta rigiratomi verso il cliente.
Maroni era di nuovo seduto, mi puntava contro un revolver, e stava piangendo. Ho soffiato una boccata di fumo fuori, poi ho portato le mani in alto, la sigaretta nella destra continuava ad essere consumata lentamente dalla calura estiva.
- Io dovrei ammazzarti, bastardo!
- Calma, Maroni, calma.
- Calma un cazzo! Pensi non lo sappia che ti scopi mia moglie? – Il revolver ora era puntato dritto al mio cuore, Maroni stava per scoppiare, si sporgeva sulla scrivania tra me e lui, le lacrime gli rigavano il volto, sulla rossa fronte sfoggiava vene che un momento prima non c’erano, tremava tutto. Dovevo tentare di farlo ragionare e, nel frattempo, trovare un modo per non farmi ammazzare da un verme ubriaco pazzo nel mio ufficio.
- Quindi lo sai. Ho capito. Allora che vuoi fare? Vuoi ammazzarmi qui? Fallo, dai, o sei bravo solo a picchiare tua moglie? Schifosa palla di lardo! – Ok, mi sono lasciato andare, ero partito con le migliori intenzioni, ma si vede che la mia bocca non era attaccata al cervello, e comunque, nel frattempo, avevo già pensato a come agire. La sigaretta era ancora nella mia mano, o la va o la spacca, ho pensato. Sono stato fottutamente fortunato. Gliel’ho lanciata in faccia con la speranza di centrare un occhio, l’ho mancato di buoni trenta centimetri e la sigaretta è finita a terra. Ma quel gesto l’ha distratto, si è girato a guardare la sigaretta ed ha abbassato il revolver. Era pur sempre ubriaco, riflessi lenti. Avevo calcolato tutto. Dio, se ci penso adesso, quanto schifosamente sono stato fortunato. Non avevo calcolato niente. Ho preso la pistola dalla fondina ascellare e l’ho messo sotto tiro, intanto lui era tornato a girarsi verso di me, completamente inebetito.
- Brutto stronzo, posa il ferro a terra, ora!
Mi ha guardato per un momento, ma i suoi occhi erano persi verso qualcosa oltre di me. Ha fatto come gli ho detto, non ha opposto resistenza, poi è scoppiato in lacrime, tenendosi il viso tra le mani.
Guarda un po’ che cazzo di cose mi tocca affrontare di primo mattino, mi son detto. Recuperato il revolver da terra, son rimasto in piedi accanto a lui, ancora in guardia per un po', poi ho posato il ferro anche io. Il tipo era bello che andato e piangeva come un bambino, lì sulla sedia. Cosa diavolo gli era successo?
Mi dispiace, lo sentivo balbettare tra un singhiozzo e un altro. Ha continuato così, finché non ha smesso di essere un fiume in piena e sembrava aver ritrovato un po’ di ragione.
- Di cosa ti dispiace, Maroni?
- Di tutto… Di tutto… Sto morendo, Hammett.
- Che cazzo dici?
Stava morendo. Cancro. Sosteneva fosse un miracolo non aver ancora tirato le cuoia. E adesso si pentiva, per come aveva sprecato la sua vita. Per l’inferno che aveva fatto passare a Diana.
La faccia come il culo. Almeno stava ricevendo quello che meritava. Ma non era ancora finita.
- Sono venuto qui per farmi ammazzare, Hammett.
- Non te lo puoi permettere, mi dispiace.
- Ti prego, Hammett. Quante volte avresti voluto farlo guardando il viso di Diana? Lo so che è così. Ti prego, puoi farlo adesso. Non ce la faccio da solo, non voglio soffrire ancora.
Aveva ragione, ogni livido che ritrovavo addosso a Diana, mi faceva venire voglia di trovarlo e ammazzarlo, ma ogni volta lei riusciva a fermarmi. Lo difendeva, dio santo, com’era possibile, mi chiedevo. Per un periodo non la vidi più, cominciai a pensare al peggio. Un giorno andai a cercarla e scoprii che semplicemente mi aveva mollato e basta, aveva scelto il marito. Qualche mese fa è tornata. Mi stava sorgendo un dubbio.
- Diana. Lei lo sa?
- Sì, sì, lei lo sa. Mi ha perdonato, capisci? Mi ha perdonato, quella santa donna! Ti prego, Hammett, perdonami anche tu e facciamola finita.
L’aveva perdonato. Il marito stava per andarsene al creatore e lei era tornata da me. Mi aveva mollato, aveva scelto la vita da brava mogliettina al fianco del violento porco, poi però il porco si è ammalato e lei è tornata dal cane, pronto a scodinzolarle dietro. Diana, stavo pensando solo a lei, ma c’era ancora la questione di Maroni.
- Hammett, ti sto supplicando, amico.
Amico, eravamo diventati amici, così, dal nulla, in quello strano mattino al suono di musica italiana. Alla fine, l’ho accontentato, da buon amico. Gli ho detto che la cosa migliore da fare era inscenare un tentato omicidio. Lui, un marito pazzo di gelosia, venuto al mio ufficio per farmi la pelle, finito male grazie ai miei pronti riflessi da detective privato, il tutto sarebbe stato archiviato sotto le magiche parole “legittima difesa”, e arrivederci.
- Grazie, Hammett -, mi ha detto, dopo che gli ho restituito il revolver per far partire quella sceneggiata. Aveva gli occhi lucidi, quasi provavo pietà.
- Allora, pronto? Mi raccomando mira bene al muro, non sbagliare, dannazione.
- Sì. Oh, aspetta, senti la canzone? Estate, di Bruno Martino. – Scoppiò di nuovo in lacrime, mentre una voce italiana accompagnava note di pianoforte. – Sai, parla di quest’uomo che ha trovato e perso la propria donna, tutto durante l’estate. Alla fine è lì che dice di odiare questa stagione. Perfetta, no?
- Come dargli torto. Pronto?
- Sì. Sì, facciamolo.
Uno sparo, poi un altro. Ho ascoltato la canzone fino all’ultima nota di pianoforte, poi ho spento la radio.